La strage di Via Palestro
Come tutti gli anni in questo periodo, i nostri ricordi tornano al 27 luglio 1993 quando ebbe luogo quella che oggi è ricordata come “La strage di Via Palestro”, avvenuta in seguito all’esplosione di un’autobomba collocata nei pressi della Galleria d’Arte Moderna e del PAC, il Padiglione di Arte Contemporanea di Milano progettato dall’architetto Ignazio Gardella nel 1948.
L’attentato, di matrice mafiosa, si collocava in un momento storico di fondamentale importanza per la lotta alla mafia, segnato da un vero e proprio attacco ai simboli della cultura e dell’arte in Italia e che coinvolse anche altre città (gli Uffizi a Firenze, San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velabro a Roma).
A gennaio di quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario di una nota società di bonifiche, il tema è stato trattato con grande maestria da Philip Daverio, all’epoca dell’attentato Assessore a Milano nella giunta Formentini con le deleghe alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e alle Relazioni Internazionali.
Ricoprendo questo incarico, il Prof. Daverio, durante la fase della ricostruzione si occupò della ricerca degli sponsor e del coordinamento degli interventi sia tecnici sia amministrativi.
La collaborazione con la C&P, all’epoca “Ing. Roberto Cincotti srl”, fu quindi molto interessante e ricca di spunti artistici sconosciuti.
L’evento
Alle 23:00 circa i Vigili Urbani di Milano ricevettero una telefonata anonima che li avvertiva della presenza di un’autovettura parcheggiata in Via Palestro dal cui cofano fuoriusciva del fumo. Arrivati sul posto insieme ai Vigili del Fuoco, alle 23:15 furono sorpresi da una terribile esplosione che provocò la morte di sei persone, il ferimento di altre sette, l’abbattimento di una parte delle strutture del PAC e la formazione di una voragine nella strada prospiciente esattamente nel punto in cui, nel sottosuolo, correva una tubazione in ghisa di 60 cm di diametro per la distribuzione di gas metano ad alta pressione.
L’esplosione causò nella tubatura stessa uno squarcio pari a cm. 30 x cm. 50 che liberò un flusso notevole e ininterrotto di gas, il quale, a contatto con l’aria ed in presenza di alcuni punti caldi creati dalla deflagrazione, si innescò formando una “gigantesca torcia che accese il luogo della strage”: così la descriverà un anno dopo nella sua perizia l’Ing. Roberto Cincotti.
Il dissesto nella rete di distribuzione aveva causato inoltre ulteriori perdite di gas che, dopo essersi insinuate nell’intercapedine sotto il pavimento del PAC e averlo saturato, provocarono un’altra violentissima esplosione
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera in occasione dei vent’anni dalla strage, lo stesso Ing. Cincotti descriveva anche alcuni particolari di ciò che trovò al suo arrivo: «L’onda d’urto aveva spogliato gli alberi dalle foglie o addirittura dalla corteccia, l’edificio era sventrato».
IL DANNO
L’area interessata dall’esplosione era quella tra Corso Venezia, i Bastioni di Porta Venezia e Piazza Cavour e che comprende, ancora oggi, fabbricati di interesse storico ed artistico: Il Padiglione di Arte Contemporanea (PAC), Villa Reale, la palazzina di Via Palestro 2, il Museo di Storia Naturale e Palazzo Dugnani.
Già da subito fu evidente che l’interesse, sociale e politico fosse incentrato sul PAC, andato praticamente distrutto nel corso dell’attentato, mentre gli altri immobili presentavano solo danni marginali da un punto di vista strutturale.
Si decise di procedere quindi su due binari paralleli che prevedevano, da una parte la ricostruzione del PAC, e dall’altra la riparazione di tutti gli altri immobili.
Mentre per questi ultimi gli accertamenti e le relative quantificazioni del danno procedettero nel tempo di pari passo con gli interventi di riparazione ad opera degli uffici tecnici del Comune di Milano, nei confronti del PAC si manifestò fin dalle ore immediatamente successive al sinistro, la volontà politica di ricostruire nel più breve tempo possibile.
La quantificazione dei danni percorse però una strada impervia fatta di burocrazia e interessi politici, nell’ombra, sempre incombente, delle indagini giudiziarie avviate a tutti i livelli nel noto periodo di Mani Pulite. Alla fine, molte riunioni e infinite discussioni portarono ad eseguire comunque la stima secondo i metodi tradizionali.
«L’edificio era costruito in maniera molto particolare, non c’erano valori di riferimento. Bisognava ricostruire da zero. Solo le coperture furono un rompicapo: l’edificio era studiato per illuminare le opere d’arte nella maniera più naturale possibile, valutare fu molto difficile» spiegò al Corriere della Sera l’Ing. Stefano Vassena, allora già operativo a fianco dell’Ing. Cincotti.
LA CONCLUSIONE
Anche per la definizione del danno, l’iter fu piuttosto laborioso a causa di «innumerevoli intoppi sollevati più per volontà politiche che non per reali difficoltà tecniche» e, alla fine, su un importo di danno stimato in oltre lire 4.000.000.000, fu concordato un indennizzo transattivo di lire 3.000.000.000 che teneva conto anche dell’abile reperimento di sponsor da parte appunto di Philippe Daverio.
Il PAC fu ricostruito tra il 1994 e il 1999 da Ignazio Gardella, con la collaborazione del figlio Jacopo, secondo il progetto originario, con fondamentali migliorie tecniche come l’adeguamento dei sistemi di sicurezza e climatizzazione per gli spazi museali, la creazione di uno spazio destinato a caffetteria e l’eliminazione dei lucernari originali per permettere l’installazione dell’impianto di condizionamento, con conseguente creazione di un controsoffitto.
A distanza di ventisette anni, “La strage di Via Palestro” rimane un ricordo indelebile non solo da un punto di vista strettamente professionale, ma anche e soprattutto da quello politico e umano essendo stato uno degli eventi più dolorosi di un periodo buio della storia di Milano e dell’Italia intera.